05) Dei livelli interpretativi

L’interpretazione.

È arrivato il momento di stringere le fila.

Possiamo iniziare dalla fine, dall’inizio, dal mezzo. Il significato sarà sempre lo stesso.

Il sorpasso temuto: dato dalla percezione della passività. Paura della penetrazione anale. Da un masochismo auto punitivo si alimenta un sadismo vendicativo verso il simbolo del cugino disabile.

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Desiderio della sopraffazione. Bisogno di delegare. Pensieri compensatori: donne, soldi, libertà, amici. Nella realtà: una donna, castrante verso la quale si sente impotente: la sua ragazza. Ma lo stampo è la madre. Finge quando dice di amarla, come con la zia: spostamento su spostamento. Da qui le sensazioni angosciose date dal desiderio incestuoso. Se la sua ragazza non si lamentasse della scarsa frequenza, qualità e fantasia dell’atto sessuale, starebbe meglio. Ha abbandonato per adesso velleità virili. Se solo lo accettasse nella sua omosessualità. Lui l’ha accettata nella sua dolcezza: sa che ne ha molta e sa che ne ha bisogno. A volte però lei diventa troppo severa nel proibirgli la masturbazione. Pedissequa ripetizione transferale del rapporto materno: diventa sempre più difficile distinguerne i confini. Vuole flirtare con i suoi amici: senza andare in fondo. Lo ricaricherebbe. Intanto lascia passare, si specchia ed a volte si piace: ne ha bisogno. Intanto sfilano da dietro di lui. Ed arriva il “Flash Back”: un ricordo del passato. Ma alla luce “Flash” di quanto detto si illumina il “Back” che in inglese sta ad indicare anche il “dietro” fisico, quello che cerca di difendere guardando lo specchietto da predatori aggressivi in una ambivalente fuga fantasticata che sa anche di perversione voyeuristica. Come le sue uniche scappatelle che si permette sui siti erotici delle rete. Si protegge, si guarda e si ammira contemporaneamente nel back: l’orifizio anale. Incomincia a porre l’attenzione sulla zona della fissazione psicosessuale. Flash per declinazione di significati può significare: luce, illuminare, e quindi guardare, scoprire, capire. Poter capire. Il back che come detto ha il significato del “dietro” sia temporale che spaziale. Ed i pensieri lo disturbano. Quelli del lavoro. Dove si sente passivizzato e si ribella nella realtà. E nel lavoro analitico dove vorrebbe invece che accadesse in una desiderata quanto risolutiva ipnosi. E le immagini sono dei “Flash Back” perturbanti, carichi di una sessualità infantile perversa e manipolatrice: disturbano, ne sta incominciando a prendere coscienza.

Possiamo incominciare a prendere in considerazione l’idea che si sia creata una breccia, una presa di coscienza della base sulla quale si poggiano le manifestazioni patologiche della sua vita e delle quali subisce gli effetti.

P: “Ho dei Flash Back sul mondo del lavoro.”.

Interpretazione: Ho la percezione in analisi di incominciare a far luce su di una perturbante attrazione riguardo i miei vissuti omosessuali dati dall’impossibilità di poter avere mia madre.

Concludo sinteticamente essendomi già dilungato abbondantemente elencando i vissuti portanti attorno ai quali si dipanerà la futura analisi: masochismo anale, narcisismo fallico compensativo, castrazione edipica passivizzante.

Ed è tutto.

Appendice.

E cosa diceva Freud in merito in “Introduzione alla psicoanalisi” riguardo i sogni?

“Ma che i sogni fortemente deformati diano espressione prevalentemente – ripetiamo non esclusivamente – a desideri sessuali potete senz’altro tenerlo a mente come risultato dell’indagine psicoanalitica.”. Mi permetto di fare questa citazione dato poi il collegamento di prassi interpretative che Freud creava tra atti mancati e sogni: legati entrambi al contenuto latente. E non posso che concordare.

L’inconscio ci parla attraverso simboli qualunque forma essi decidano e possano prendere: emozioni, parole, concetti, suoni, immagini. Formano l’alfabeto del nostro interlocutore privilegiato: l’inconscio. Verso il quale abbiamo un solo dovere: cercare la prossima e più intellegibile riduzione di significato. Fino alla fine, ovvero l’inizio. A levare, centripeto.

Ps: Ho il Desiderio di lasciarvi con questo che sembra un monito ma è una indicazione e con la Memoria a chi ancora oggi rappresenta la più alta vetta mai raggiunta, e forse raggiungibile, nella psicoanalisi. Questo è il motivo che mi ha spinto ad usare in alcuni passaggi il plurale nel testo: una licenza poetica dedicata al “Er Professor” che spero mi abbia accompagnato nella formulazione del pensiero senza aver scosso la testa troppe volte.

FINE

04) Dei livelli interpretativi

Devo svelarvi che il terzo antefatto aveva fatto la sua comparsa precedentemente in terapia. Ma essendo una comunicazione prima, e quindi sganciata dal discorso, o se preferite sul discorso, era tornata in tutta la sua interezza a fare capolino. Non era stato possibile interpretarla perché non era stata inserita in nessuna costruzione pari. Adesso potevamo. Quindi era li di nuovo, sufficiente a se stessa. Cosa comunicava quella frase?

1) Ad un livello ci stava dicendo che avrebbe potuto vivere meglio se sua madre lo avesse accolto nella sua disabilità come aveva fatto con il cugino, contingenza reale che aveva determinato di fatto un massivo e definitivo spostamento delle attenzioni. Quale disabilità? Quella sessuale, intesa come fallica. Tradottasi successivamente in passività, ruffianeria, impotenza. Avrebbe rinunciato al suo fallo pur di stare con lei.

2) Ad un altro livello forse ci stava dicendo che se la madre lo avesse accettato così come era, avrebbe potuto vivere bene la sua omosessualità all’interno della casa, intesa come accettazione della sconfitta nel duello edipico e relativa castrazione. Anzi sentiva di averlo fatto dentro di lui questo scambio ma senza esserne ripagato in nessun modo. Da questo trauma creava fantasie di contorno riparative rispetto alla sua sensazione di disorientamento, dei picchi concettuali con i quali puntellava aree importanti della sua vita, dove sentiva la mancanza di sostegno.

3) La velocità.

Il desiderio del sogno ricorrente di stare tra tante donne. Quando poi noi sapevamo che con l’unica che aveva doveva fingere e castrarsi in un soddisfacimento autoerotico: una ripetizione.

4) I soldi. La libertà. E gli amici.

In coda ci confidava che gli sarebbe piaciuto fare una vacanza con i suoi amici e flirtare con loro. Ambivalente. Pensate che il pensiero sia stato poco obbiettivamente riportato? Allora proverò ad essere più aderente:

P: “Vorrei fare una vacanza con i miei amici, adesso ne avrei bisogno, mi darebbe la carica, mi manca il flirt.”. La frase è evidentemente inconsciamente ambivalente: mostra come la sua affettività sia spostata verso la sfera maschile che gli dona tranquillità e carica. Però sotto forma di amicizia. Basta sostituire all’interno della frase “Amici” con “Ragazza” per rendersene conto praticamente. La stessa componente maschile fuoriuscita dai canoni di quotidiana frequentazione diventava minacciosa. Fino a temere la passivizzazione. La riduzione allo stadio masochistico anale. Per questo deve “sempre” guardarsi dietro attraverso lo specchietto retrovisore. Centrale. Potrebbe arrivare qualcuno/qualcosa più veloce di lui e travolgerlo:

P: “Ho sempre avuto un problema con la velocità.”.

Sta parlando della percezione della sua omosessualità latente nella preoccupazione che le cose arrivino da dietro, che compensava mettendo sull’altra faccia della medaglia tante donne. Rimanendo in metafora della triade degli specchietti, che sappiamo poter rappresentare in tale disposizione e numero un simbolo fallico, è da quello centrale che guarda e si guarda. Si guarda perché è nello specchio che vede e sente in realtà questa possibile pressione invadente. In un autoerotismo mosso dal narcisismo naturalmente, ormai dell’eunuco di corte che volontariamente si concesse pur di rimanere al fianco della regina. La libido è investita su sé stesso, ha bisogno di soldi (simbolo libidico) per permettersi le donne: la sua riserva è tutta impegnata. Ma dove c’è impotenza inconscia troveremo aggressività ed impotenza sessuale, come megalomania nel reale. Aggressività che rivolge verso di sé. Dalla quale è meglio guardarsi, per ammirarsi ormai, quanto per poterla evitare, per farla passare…

CONTINUA…

03) Dei livelli interpretativi

Terzo antefatto.

Altra comunicazione prima. Altro materiale. Seduta precedente il lapsus.

Stava parlando diffusamente del suo rapporto travagliato con la madre e con la sua famiglia in generale, confondendo i piani della rimozione e della interpretazione quando ad un tratto:

P: “Il gay se vive bene con la madre vive bene il suo rapporto con il mondo e la sua sessualità.”.

È il momento di aggiungere un’ulteriore caratteristica delle comunicazioni prime: la loro sfrontatezza. Godono della libertà del giullare di corte che nell’aurea del suo ruolo può permettersi di dire tutto ciò che vuole nella pretesa (speranza?) di non essere preso sul serio: fino ad un certo livello. Queste comunicazioni hanno chiari tratti fanciulleschi. Come potete notare le comunicazioni prime condividono alcune caratteristiche delle produzioni oniriche per il semplice fatto che la bottega dove vengono prodotte è la stessa: una produzione è interna potremmo dire, per la casa, e l’altra è per il pubblico.

Ora abbiamo tre momenti dell’analisi che ci aiuteranno a ricompattare la parte del mosaico sulla quale ci siamo concentrati. Comunque è certo che rimarranno numerose lacune ad uno sguardo attento e ravvicinato. Ma già compiendo un passo indietro si potrà discernere quanto questi tre momenti siano comunicanti tra di loro.

Tornando al lavoro interpretativo tenteremo una interpretazione di transfert del qui ed ora per rendere più completa l’indagine e per non lasciare nulla di intentato: in fondo stava facendo riferimento a qualcosa che si trovava dietro di lui (flash back) e che tentava di tenere sotto controllo. Un’ipotesi: aveva paura di confrontarsi, soprattutto con me che sentiva minaccioso là dietro, dalla poltrona dietro il lettino, visto che tra l’altro non poteva controllarmi. Cercava di guardarmi. Avrebbe voluto darmi ragione per averne a sua volta, il lasciar passare, per poi passare. Perfetta scena transferale paterna che per mancanza di spazio non posso avvalorare con del materiale clinico. Non vi rimane che fidarvi. Tutto si ripete. Ma ad un tratto compaiono degli elementi che reclamano attenzione: donne, soldi , velocità, il bisogno di flirtare con gli amici. Frase costruita con ambivalenza. C’è evidentemente dell’altro.

CONTINUA…

01) Dei livelli interpretativi

Dei livelli interpretativi.

Modalità di come i contenuti inconsci vengano veicolati attraverso le comunicazioni consce.

L’obiettivo di questo breve saggio è mostrare come, a partire da un elemento riportato in analisi ad un livello conscio, si possa arrivare a quanto di inconscio veicoli. Le comunicazioni analitiche contengono in genere elementi da considerare come se fossero sempre e comunque dei simboli frutto del lavoro di mascheramento, spostamento etc.. Sono fenomeni conosciuti perché osservati principalmente nell’analisi dei sogni. E basandoci su questo presupposto opereremo.

Che sia un lapsus di parola o una “Comunicazione prima” come nel caso che vi presenterò a breve, importante sarà sempre quanto libidicamente, e quindi semanticamente, i simboli ed i significanti siano legati tra loro. Le caratteristiche comuni, i significati, ci permetteranno di non essere ingannati dagli elementi manifesti: mai, almeno nelle intenzioni. Permetteremo in linea di massima di esserne più o meno intralciati e depistati dalla notevole arguzia della resistenza qualora sia il caso, ma mai perdendo la rotta affidandoci alla nostra stella Polare: la libido.

Primo antefatto.

Entrando nella stanza d’analisi.

Motivazione della richiesta dell’incontro: il paziente aveva dei problemi con la sua ragazza rispetto alle sue pratiche onanistiche. L’obiettivo della terapia desiderato era quello di riuscire a “capirsi per poter così smettere di masturbarmi” dato che la ragazza aveva posto l’interruzione di tali pratiche autoerotiche come condizione basilare per la prosecuzione del rapporto.

In una seduta.

Il paziente stava snocciolando i suoi racconti patinati di un’infanzia prima e di un’adolescenza poi all’insegna di una ”insensibilità” nei confronti di un cugino vittima di una grave malattia disabilitante. Erano mesi che mi parlava di questa presunta aridità interiore, facendo di tutto per farmi vivere il suo racconto, ma riuscendo solo ad interpretare piattamente delle pagine di un libro che non conosceva poi così bene.

Ad un tratto.

P: “Ho dei flash back sul mondo del lavoro. No. I flash back non centrano niente. Sono insignificanti. Non c’ entrano niente con il mio intento. Sono delle immagini in realtà. È come se avessi perso la capacità di concentrarmi a causa del duro lavoro.”.

Eccoli. Dopo alcuni mesi incominciavano ad affacciarsi, anzi più correttamente a spingere, dei vissuti significativi. Erano si delle immagini, ma il lapsus li significava ancor più chiaramente. Erano delle immagini che lo portavano indietro: dei “Flash”, fare luce, su di un “Back” (dietro), il suo passato. In inglese, lingua che il mio paziente conosceva bene, il “Flash Back” è propriamente un ricordo che affiora improvvisamente dal passato attraverso un immagine. Lo distoglievano da quello che lui riteneva fosse importante: il suo raccontare analitico, freddo, preparato, demandato. Proprio poche sedute prima mi aveva confidato di voler intensificare il lavoro, voleva lavorare più duramente, voleva più risultati. Mi propose quella che aveva pensato potesse essere la strategia per raggiungere tale risultato:

P: “Sono disposto anche a farmi ipnotizzare!!!”. Ovvero a non fare niente. Era il suo massimo grado di partecipazione il non remare contro, doveva farsi da parte, non poteva rimanere neanche lì ad ascoltare il silenzio. Le immagini lo avrebbero disturbato. Facevano pressione sui nodi razionali che tenevano insieme la rete di sicurezza che nel tempo, seduta dopo seduta, aveva intessuto, inconsapevole di quanto contemporaneamente li stesse allentando dall’altro capo. Le immagini erano quindi dovute al duro lavoro che gli toglieva concentrazione. Vero. Un particolare però non aveva compreso la sua riflessione: il lavoro non era quello che giornalmente lo impegnava nei suoi uffici. Era il lavoro analitico: locuzione usata in terapia e fatta propria dal suo vocabolario dei

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significati inconsci. Era stato solo spostato. Era l’inizio della scala, il primo gradino, a scendere. Il lavoro analitico gli aveva reso meno fluido l’esercizio di stile che mi regalava durante le sedute. Lunghe digressioni sui perché e sui percome della sua vita, degli altri e del mondo. Se ne andava spesso con un’espressione soddisfatta, come se avesse fatto il suo dovere o come se avesse sentito di aver parlato bene. Sentiva in cuor suo di aver fatto un buon lavoro. “Poco e niente”. Ora invece quei pensieri insignificanti che venivano illuminati da quei “Flash” disturbavano, perché provenienti dal “Back”.

Io: “Dovrebbe comunicarmi i suoi pensieri operando il minor grado di censura possibile. È la regola fondamentale sulla quale abbiamo basato il nostro lavoro.”

P: “Lo faccio, sono migliorato…”.

Io: “Vede… Nel caso del flash back lei ha deciso di scartare dei contenuti arbitrariamente e di screditare la sua stessa espressione. Quelle immagini che lei mi descrive attraversare fugacemente la sua mente, vengono dal suo passato…”.

P: “Ma mi disturbano…”.

Io: “Proprio perché vengono dal profondo la disturbano… (Silenzio) Per oggi va bene così.”.

Il semplice lapsus di parola era stato svelato: i pensieri che gli attraversavano la mente perturbandola durante i suoi racconti erano proprio dei “Flash Back” e non delle immagini senza significato. Rappresentavano dei ricordi del passato mascherati in immagini di lavoro che non avevano niente a che fare apparentemente con il discorso corrente, il quale nonostante questo distacco semantico non riusciva a distogliersene senza perdite. Da qui la comprensione che quelle immagini erano pensieri inconsci deformati non solo da non scartare per scongiurare un gioco di squadra con la resistenza, ma anzi da tenere nella massima considerazione, perché il loro disvelamento rappresentava il secondo gradino della discesa verso l’inconscio.

Questo è tutto aspettando altro materiale, altre associazioni. O meglio, sembrerebbe tutto e probabilmente non lo è. Con un po’ di pazienza se mi seguirete tenterò di dimostrare quanto altro c’era in queste poche parole.

Abbiamo bisogno di altri antefatti, di “Comunicazioni prime” per formulare un interpretazione puntuale. Ma certamente vi starete chiedendo cosa sia una “Comunicazione prima”. La descriverò brevemente.

La “Comunicazione prima” è, per l’appunto, una comunicazione analitica che dalla propria definizione prende due principali connotazioni:

  1. Connotazione temporale. È una frase o una parola o un suono (o un gesto) che non avete mai annotato prima e si staglia dal campo di coerenza analitico come se provenisse da un altro luogo, e così è poi nei fatti considerando che salendo dall’inconscio passa solo a vestirsi di accessori dalla razionalità. Se ripetuta subisce trasformazioni trascurabili se non nulle.

  2. Connotazione numerica. Si fa riferimento ad una qualità mutuabile dal mondo dei numeri razionali ed in particolare dai numeri primi. Con quest’ultimi condividono la non scomponibilità: possono essere divisi solo per se stessi. In psicoanalisi si traduce nella loro iniziale non riconducibilità da altre vie ai loro significati. La loro comprensione passa solo nella loro somma narrativa: si creano “Costruzioni pari”, quindi divisibili, che quando interpretate rappresentano sovente passaggi fondamentali e trasformativi.

Non sarà agevole ma tenterò nel prosieguo del racconto della terapia di esplicitare chiaramente quanto espresso teoricamente.

CONTINUA…

02) Gelosia

PROSEGUE..

3) “Punizione”:

quella dove il geloso si strazia della perdita, passa il proprio tempo reale ma soprattutto psichico a pensare all’oggetto perduto. Sembrerebbe. Ma, per l’esattezza, ad una visione più attenta, più meticolosa, quello che sembra un pensare è una ricostruzione e quello che sembra un oggetto perduto è un una bella immagine di sé sfuggita. Il geloso, dei litigi e dei momenti cupi precedenti la rottura del rapporto, non ricorda niente, non vuole, non può. Al passare del tempo l’oggetto riacquista la sua magnificenza, e tutte le sue doti vengono nuovamente riconosciute dopo un periodo di fagocitante annichilimento. Ci sono tre momenti che possono aiutare a spiegare questa fase: 1) sensi di colpa, 2) ricaricarsi, 3) viscosità della libido. I sensi di colpa non dipendono, da quanto si penserebbe ingenuamente, dal rinsavimento del soggetto geloso conscio dei suoi errori. Ebbene no. Vorrei porre l’attenzione su un momento sfuggente della relazione “gelosa”: il limbo tra il momento “dell’amore” e “del cupo dolore”. Nei tre momenti della relazione citati sopra manca il momento della…

4) “Distruzione dell’oggetto”:

Ma in ordine. Il geloso non solo è conscio dei suoi comportamenti, ma ne ha bisogno. I sensi di colpa nascono dal limbo. Qui avviene la caduta della seconda maschera: è il momento dell’espressione, della presa di coscienza, anche se vaga, confusa, di tutta la propria cannibalesca aggressività. Odia. L’odio, una parola che in se non vuol dire tanto ma che uso per comodità, visto la grande quantità di significati eterogenei che contiene. Ha fame. Esce il mostro che è in lui. In questo momento possono verificarsi fenomeni di stalking in tutte le sue forme, tramite un annichilimento dell’altro tale da togliergli la terra da sotto i piedi, oppure in una derealizzazione psicotica colpevolizzante. Strategia finalizzata al recupero dell’oggetto che si percepisce ancora proprio, ma ferito e quindi attaccabile frontalmente. Non tramite strategie come quando lo si percepisce integro, quindi manipolato ed aggirato in un atteggiamento adulatorio e parassitario, che si realizza ultimato quando ormai il legame è dato. Questo dato momento è una vampata di odio psicotico verso l’ennesima bella immagine di sé, in realtà lontana, fuggita, traditrice e fondamentalmente altra da sé. È un momento nel quale l’incantesimo narcisistico ha un momento di defaillance come quando la maledizione ha inizio alla mezzanotte e si scopre il volto del mostro. Ma il nuovo giorno è alle porte. La scarica è stata, il geloso è esausto. Ha bisogno di ricaricarsi, tutto quello che adesso è fuori di se deve tornare, deve essere recuperato. E pian piano tutto torna al proprio, precario, posto. E si ricomincia. Come? Con ancestrali e quindi infantili sensi di colpa. Ecco dove traggono forza, dall’odio profondo. Naturalmente è esaminato e valutato come se fosse una modalità esclusivamente patogena data la sua eccezionale problematica quantitativa che nello scenario mostra. I sensi di colpa fungono a una duplice depistante funzione : quella di riabilitarsi verso se stessi e verso l’altro che a seconda del livello patogeno del legame e nelle condizioni giuste potrebbe arrivare a ripensare nevroticamente la relazione, fino a considerazioni tipiche: “in fondo mi voleva solo bene, mi amava”. Altra parola che non significa niente perché significa troppo (o meglio troppe cose, stati). Altri appetiti. Qui abbiamo il momento del rigenerarsi della carica. In ambedue i soggetti sebbene con strategie diverse si guarda a quello che è accaduto. Il geloso ormai punitosi abbastanza è tornato in sé, ha scaricato tutto il suo odio primordiale e furente. Quindi riavvia le vecchie strategie avviluppatrici rispetto ormai ad un soggetto che percepisce di nuovo integro, non affrontabile frontalmente. E di nuovo fantastico, fantasticato. In una fantasia nostalgica anch’essa proveniente da molto lontano, lontano nel tempo. Qui entra in gioco il terzo fattore: la viscosità della libido che dona comunque qualità alle altre due fasi. Qui appare chiarissimo come sia difficile spostare un quantitativo importante di energia libidica investita nevroticamente. E lo possiamo notare palesemente in due fasi distinte del rapporto del geloso: nel tentativo arcaico di un contatto, tramutatosi in una necessità di possesso e nella sua doppia rievocazione, ovvero nel momento della prima relazione e nei tentativi successivi di ripristinarla in una incontrollabile spinta della coazione a ripetere sul modello appunto della relazione primaria. Lo spostamento di un quantitativo di libido collocata nevroticamente può avvenire senza investire grandi quantità energetiche quando naturalmente l’oggetto è affine alla nevrosi di base. Nel geloso infatti le maglie dell’inganno incominciano a sfaldarsi nel caso in cui l’altro tenti uno spostamento relazionale dalla fase dell’inglobamento: da qui nascono le forti reazioni difensive del geloso. La libido deve rimanere dov’è. L’”intreccio pulsionale” adleriano è utile per comprendere realisticamente la moltitudine di sfumature che poi tali rapporti vengono ad assumere.

Concluderei con una concettualizzazione della relazione gelosa di tipo fisica – meccanica. Brevemente e quindi fallace, ma scusatemi.

Il gioco di proiezioni, idealizzazioni, investimenti si colloca realisticamente sopra un meccanismo più elementare. Un meccanismo inseribile ad un livello di funzionamento base, per l’appunto “Elementale”.

Newton, principio di azione – reazione:

Se su un corpo agisce una forza, allora esiste un altro corpo su cui agisce una forza uguale e contraria. Ovvero, ad ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria. Quindi le mutue azioni fra due corpi sono sempre uguali e dirette in senso contrario. Più precisamente: quando un corpo A esercita una forza su un corpo B, anche B esercita una forza su A; le due forze hanno stesso modulo (intensità), stessa direzione, ma versi opposti.

Traslando a noi, ad uno sforzo energetico, un investimento, una produzione e quindi un consumo di energia deve corrispondere un cambiamento della realtà in relazione alla percezione dell’agente produttore dello sforzo. Il cambiamento della realtà sia psichica che fisica, avverrà sempre. Il problema è nella sua percezione, nella capacità di percepire. Alla mancata restituzione dell’energia investita secondo la qualità desiderata ci sarà un tentativo di recupero della stessa. A seconda della posizione occupata su di un continuum psicopatologico ci saranno tentativi di recupero diversi: gelosia per l’appunto, invidia, difesa dell’onore, vendetta, l’orgoglio, fino a strategie più sane come la sublimazione su altri “oggetti”.

La gelosia si connota nella punizione dell’altro con la sottrazione dell’energia datagli: il problema della persecutorietà della punizione risiede nella persecutorietà intrinseca nella prima energia donata all’altro, già inquinata e dalla pretesa di un recupero crediti che passa dalla dimensione dello psichico a quella della riappropiazione fisica del credito supposto: il geloso da quello che può, l’altro non riesce a tornargli il desiderato, non è possibile anche se è tutto quello che possiede, ma a questo punto decide di appropriarsi dell’oggetto non potendo avere le sue emozioni idealizzate a suo uso e consumo compensatorio. Quella che era la dote diventa lo strumento di tortura.

01) Gelosia

La Gelosia.

Commento a “Frammenti di una metafora” dall’articolo “L’ascolto e la metafora”.

Il prof. Perrotti introduce in questo passo il concetto di gelosia unendolo a quello di metafora. Afferma: “Che la metafora abbia una grande importanza per la vita psichica in generale e per l’andamento di un’analisi terapeutica è una constatazione fatta da me nel corso di vari anni.”. Continua inserendo la gelosia: “Vi contribuì in un certo modo ‘l’esperimento sulla gelosia’. Anni fa cominciai a pensare che la mente soffre di dolore acuto, di noia, di ripetitività, quando è costretta a funzionare secondo un solo codice espressivo.”. Partirò da qui.

La gelosia, per l’appunto.

Il passaggio dell’articolo che prenderò in esame pone il problema della tecnica dell’interpretazione della gelosia: la finalità sarebbe quella di trovare una strategia tale che dal tecnicismo si sperimenti una consapevolezza interna del difficile vissuto della gelosia in modo di permettere una maggiore ampiezza alla sua pensabilità e dicibilità. In quella che dovrebbe trasformarsi in una ricerca di senso dentro di sé e successivamente in una interpretazione influenzata dall’emozioni del paziente, rielaborate, metaforizzate. Interpretate per l’appunto nel lavoro ultimo, quello di restituire una “testimonianza vivente”. Quindi un codice comunicativo “tecnico” sarebbe men che mai utile nella comunicazione con paziente “geloso”. Penso che questo derivi dalla natura primitiva della volontà di possesso geloso, che se vissuta, è molto lontana da una possibilità di razionalizzazione. Potrebbe tuttavia essere anche intesa, ma porterebbe il discorso ad un tale livello di razionalizzazione difensiva da mandare in stallo il rapporto terapeutico dato in quel momento.

Nel prosieguo dello scritto il Dott. Perrotti a titolo esemplificativo cita tre momenti della gelosia che lui individua in “quello del dubbio”, “quello dell’amore” e “quello del cupo dolore” che mi è parso anche utile contestualizzare temporalmente in un semplicissimo “prima, durante, dopo” e rinominare meno semplicemente come i momenti 1) “del desiderio”, 2) “dell’inglobamento”, 3) “della punizione”.

1) “Desiderio”:

di un oggetto, nel senso stretto, che possa dare forma al proprio vuoto. Non parlerei di riempimento, quanto di rimodellare il vuoto, come di riformulare il pensiero sempre e comunque in assenza di un contenuto psichico “tangibile”, in un’ombra cinese. Basti riflettere sui risultati nel reale delle forti gelosie che alla conquista dell’oggetto non placano le derive patologiche. Anzi. Subentra il sospetto paranoico, c’è una continua ricerca dello scontro delirante per tentare di riportare sempre a zero la pretesa di partecipazione vitale dell’altro alla relazione (richiederebbe uno spostamento libidico inaccettabile per il geloso). Anche fisicamente all’occorrenza. Inizialmente abbiamo il desiderio nel quale il soggetto viene oggettivato in un aurea divina. La creazione di tale oggetto perfetto e degno passa per una quantificazione del bilanciamento psichico che dovrà sostenere: l’angelo sarà più magnifico al bisogno di un inferno quanto più abominevole. Al momento dell’aggancio subentra il momento de

2) “L’inglobamento”:

 l’angelo viene messo in gabbia, gli vengono tagliate le ali, ma fuori da sé. Viene spolpato, ingoiato, digerito. E quindi espulso. La sua funzione era quella di irradiare un immagine di sé, in un narcisismo che non riesce a specchiarsi nella propria deformità, perfetta. Come dicevo il vuoto rimane tale, cambia la sua forma, per un lasso di tempo determinato, si abbellisce, condivide, pensa, ma in realtà è una manovra parassitaria. Qui avviene la caduta della prima maschera del geloso: quella che si nutre della fantasmatica immagine compensatrice creata nell’altro, sull’altro. Che soccomberà certamente vista l’impossibilità del confronto. Alla quale vorrà anche soccombere visto il particolare legame. Quindi inaridirà. Il geloso avrà un vuoto interiore e una mancanza di pensiero “belli” da mostrare finché potrà cibarsi dell’altro. Questo tipo di rapporto, patologico ed estremizzato per convenienza divulgativa, si reggerà su un periodico rifornimento di rassicurazioni narcisistiche all’altro. Altro fortemente bisognoso di un ritorno di immagine narcisistica molto forte: la fortissima gelosia viene razionalmente spiegata come il metro di un fortissimo amore. E solo in un legame tanto forte, tanto da mostrare la corda della patologia, si sente riconosciuto, e ancora, nutre il suo bisogno di essere speciale, copertura di una miserabile necessità di essere visti e tenuti a sé. Ma anche i legami gelosi per quanto collusivi prima o poi possono dissolversi. Come dicevo prima, al cadere della prima maschera.

Saremmo arrivati quindi al momento della…

CONTINUA…

17) Autolesionismo

PROSEGUE…

17)

Lo scorpione.

P.s.: Mi piacerebbe in conclusione citare un comportamento che ci viene direttamente dal mondo animale e se volete potete divertivi a posizionarlo sul continuum precedentemente citato: lo scorpione se minacciato dalle fiamme e valutata l’assenza di via di fuga… si punge mortalmente.

FINE

16) Autolesionismo

PROSEGUE…16)

Qualche riflessione.

Nelle conclusioni inizierei subito con il dire che non sono delle vere e proprie conclusioni… Sono piuttosto un quadro riassuntivo delle caratteristiche più rilevanti che con ragionevole fiducia si andranno ad incontrare nel trattamento di soggetti aventi comportamenti autolesionistici identitari ed annichilenti. Le conclusioni penso siano più adeguate ad un caso clinico.

Quindi troveremo probabilmente un soggetto disorientato nel suo equilibrio interno rispetto alla pulsione di morte e di vita: quali le derive eclatanti? Masochismo? Sadismo? Quale il persecutore interno? Quale maschera sostitutiva dell’identità? Frammentazione patologica o di passaggio? Possibilità di accedere ad un contenitore oltre quello analitico? Importantissima la, probabilmente, avviluppante relazione materna, valutare qualitativamente quanto super – egoica è quella paterna. Attenzione alla relazione terapeutica che vista le tendenze seduttive e manipolatorie di questi soggetti (a livello statisticamente significativo personalità orali) può ingannare anche nel controtransfert più controllato. Il narcisismo aleggerà come collante.

Naturalmente facendo questa breve panoramica dei punti chiave non avrò aggiunto niente di nuovo all’idea che vi sarete fatta autonomamente, ma ho corso il rischio di annoiarvi per dare più visibilità agli aspetti clinici magari un pò troppo diluiti nel testo. La finalità era fissare quelli che penso siano gli aspetti focali. Ripeto e mi rendo conto comunque che senza un caso specifico possano suonare un po’ sterili. Sperando di essere stato chiaro nel mio intento.

CONTINUA…

15) Autolesionismo

PROSEGUE…

15)

Effetti collaterali.

Nei comportamenti autolesionistici propriamente detti (tatuarsi, inserire oggetti sotto pelle, bruciarsi) gli effetti collaterali connotati piacevolmente sono ascrivibili a tre ambiti.

Fisiologico.

La produzione di endorfina successiva alla pratica induce nel soggetto una sensazione corporea particolarmente piacevole che lo ricompensa del coraggio investito. Basta considerare che in alcuni casi le zone scelte sono quanto mai particolari. A questo si aggiunge l’oggettiva qualità antidepressiva di tale sostanza endogena.

Sociale.

La possibilità di far parte di un “oggetto contenitore”. L’approvazione gruppale proporzionata all’estremismo della scelta. Quindi leadership, accettazione, inclusione. Da non sottovalutare il piacere indotto dalla volontaria, in quanto ostentata, emarginazione sociale data dalle spiccate differenze comunicative estetiche.

Psichico.

È naturalmente la gratificazione più ambita ed è suddivisa su due piani. Il primo interessa il livello di malessere interiore percepito: grazie all’endorfina, dalle note proprietà antidepressive, diminuisce significativamente fino ad arrivare a derive megalomaniche (es.: la famosa frase “mi sento vivo…”) compensatrici di pulsioni di morte. Il secondo è puramente intrapsichico. Si perde nei meandri delle sfaccettature del masochismo. Il comportamento “attuato” è una punizione auto – inflittasi tesa a depotenziare i sensi di colpi dati da pulsioni aggressive. Queste, altrimenti indirizzate verso oggetti non pensabili (e qui ritorna il sadismo), e perdendosi in un limbo tra il conscio e l’inconscio, manifestano tutta la responsabilità percepita della propria inadeguatezza. È un contenuto psichico difficilmente valutabile quello che c’è dietro a tali pratiche: l’unico dato certo senza un’analisi del particolare è il passaggio coatto all’atto, la presenza di un oggetto persecutorio interno che viene fantasmaticamente proiettato fuori su oggetti ad hoc.

Interessanti sono anche le consuetudini sessuali adottate da tali soggetti sicuramente fuori dalla normalità: oltre ad intervenire, in alcuni casi, sui genitali o altre zone erogene, danno un quadro chiaro della confusione identitaria e di conseguenza sessuale, o viceversa (auto – punizione: sento la presenza di Edipo Re, solita aggiungerei). L’altro viene percepito come oggetto disintegrando ogni possibile relazione degna di questo nome dando il via a sperimentazioni perverse: nella sessualità dovrebbe trovare l’acme relazionale ma invero nella realtà l’annientamento.

Si instaura un circolo vizioso: al dolore fisico si ha una gratificazione fisica più una sociale (es.: compensa il coraggio delle parti anatomiche scelte, li fa accettare dal gruppo) più due psichiche: una data dal diminuito senso di colpa percepito (di pratiche masochistiche si stà parlando) e una dalla diminuzione di percezione della depressione di fondo data dalle qualità chimiche della sostanza entrata in circolo massicciamente. E si continua nel dominio della coazione a ripetere, nella permanenza dello stato dell’essere.

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