Dei livelli interpretativi.
Modalità di come i contenuti inconsci vengano veicolati attraverso le comunicazioni consce.
L’obiettivo di questo breve saggio è mostrare come, a partire da un elemento riportato in analisi ad un livello conscio, si possa arrivare a quanto di inconscio veicoli. Le comunicazioni analitiche contengono in genere elementi da considerare come se fossero sempre e comunque dei simboli frutto del lavoro di mascheramento, spostamento etc.. Sono fenomeni conosciuti perché osservati principalmente nell’analisi dei sogni. E basandoci su questo presupposto opereremo.
Che sia un lapsus di parola o una “Comunicazione prima” come nel caso che vi presenterò a breve, importante sarà sempre quanto libidicamente, e quindi semanticamente, i simboli ed i significanti siano legati tra loro. Le caratteristiche comuni, i significati, ci permetteranno di non essere ingannati dagli elementi manifesti: mai, almeno nelle intenzioni. Permetteremo in linea di massima di esserne più o meno intralciati e depistati dalla notevole arguzia della resistenza qualora sia il caso, ma mai perdendo la rotta affidandoci alla nostra stella Polare: la libido.
Primo antefatto.
Entrando nella stanza d’analisi.
Motivazione della richiesta dell’incontro: il paziente aveva dei problemi con la sua ragazza rispetto alle sue pratiche onanistiche. L’obiettivo della terapia desiderato era quello di riuscire a “capirsi per poter così smettere di masturbarmi” dato che la ragazza aveva posto l’interruzione di tali pratiche autoerotiche come condizione basilare per la prosecuzione del rapporto.
In una seduta.
Il paziente stava snocciolando i suoi racconti patinati di un’infanzia prima e di un’adolescenza poi all’insegna di una ”insensibilità” nei confronti di un cugino vittima di una grave malattia disabilitante. Erano mesi che mi parlava di questa presunta aridità interiore, facendo di tutto per farmi vivere il suo racconto, ma riuscendo solo ad interpretare piattamente delle pagine di un libro che non conosceva poi così bene.
Ad un tratto.
P: “Ho dei flash back sul mondo del lavoro. No. I flash back non centrano niente. Sono insignificanti. Non c’ entrano niente con il mio intento. Sono delle immagini in realtà. È come se avessi perso la capacità di concentrarmi a causa del duro lavoro.”.
Eccoli. Dopo alcuni mesi incominciavano ad affacciarsi, anzi più correttamente a spingere, dei vissuti significativi. Erano si delle immagini, ma il lapsus li significava ancor più chiaramente. Erano delle immagini che lo portavano indietro: dei “Flash”, fare luce, su di un “Back” (dietro), il suo passato. In inglese, lingua che il mio paziente conosceva bene, il “Flash Back” è propriamente un ricordo che affiora improvvisamente dal passato attraverso un immagine. Lo distoglievano da quello che lui riteneva fosse importante: il suo raccontare analitico, freddo, preparato, demandato. Proprio poche sedute prima mi aveva confidato di voler intensificare il lavoro, voleva lavorare più duramente, voleva più risultati. Mi propose quella che aveva pensato potesse essere la strategia per raggiungere tale risultato:
P: “Sono disposto anche a farmi ipnotizzare!!!”. Ovvero a non fare niente. Era il suo massimo grado di partecipazione il non remare contro, doveva farsi da parte, non poteva rimanere neanche lì ad ascoltare il silenzio. Le immagini lo avrebbero disturbato. Facevano pressione sui nodi razionali che tenevano insieme la rete di sicurezza che nel tempo, seduta dopo seduta, aveva intessuto, inconsapevole di quanto contemporaneamente li stesse allentando dall’altro capo. Le immagini erano quindi dovute al duro lavoro che gli toglieva concentrazione. Vero. Un particolare però non aveva compreso la sua riflessione: il lavoro non era quello che giornalmente lo impegnava nei suoi uffici. Era il lavoro analitico: locuzione usata in terapia e fatta propria dal suo vocabolario dei
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significati inconsci. Era stato solo spostato. Era l’inizio della scala, il primo gradino, a scendere. Il lavoro analitico gli aveva reso meno fluido l’esercizio di stile che mi regalava durante le sedute. Lunghe digressioni sui perché e sui percome della sua vita, degli altri e del mondo. Se ne andava spesso con un’espressione soddisfatta, come se avesse fatto il suo dovere o come se avesse sentito di aver parlato bene. Sentiva in cuor suo di aver fatto un buon lavoro. “Poco e niente”. Ora invece quei pensieri insignificanti che venivano illuminati da quei “Flash” disturbavano, perché provenienti dal “Back”.
Io: “Dovrebbe comunicarmi i suoi pensieri operando il minor grado di censura possibile. È la regola fondamentale sulla quale abbiamo basato il nostro lavoro.”
P: “Lo faccio, sono migliorato…”.
Io: “Vede… Nel caso del flash back lei ha deciso di scartare dei contenuti arbitrariamente e di screditare la sua stessa espressione. Quelle immagini che lei mi descrive attraversare fugacemente la sua mente, vengono dal suo passato…”.
P: “Ma mi disturbano…”.
Io: “Proprio perché vengono dal profondo la disturbano… (Silenzio) Per oggi va bene così.”.
Il semplice lapsus di parola era stato svelato: i pensieri che gli attraversavano la mente perturbandola durante i suoi racconti erano proprio dei “Flash Back” e non delle immagini senza significato. Rappresentavano dei ricordi del passato mascherati in immagini di lavoro che non avevano niente a che fare apparentemente con il discorso corrente, il quale nonostante questo distacco semantico non riusciva a distogliersene senza perdite. Da qui la comprensione che quelle immagini erano pensieri inconsci deformati non solo da non scartare per scongiurare un gioco di squadra con la resistenza, ma anzi da tenere nella massima considerazione, perché il loro disvelamento rappresentava il secondo gradino della discesa verso l’inconscio.
Questo è tutto aspettando altro materiale, altre associazioni. O meglio, sembrerebbe tutto e probabilmente non lo è. Con un po’ di pazienza se mi seguirete tenterò di dimostrare quanto altro c’era in queste poche parole.
Abbiamo bisogno di altri antefatti, di “Comunicazioni prime” per formulare un interpretazione puntuale. Ma certamente vi starete chiedendo cosa sia una “Comunicazione prima”. La descriverò brevemente.
La “Comunicazione prima” è, per l’appunto, una comunicazione analitica che dalla propria definizione prende due principali connotazioni:
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Connotazione temporale. È una frase o una parola o un suono (o un gesto) che non avete mai annotato prima e si staglia dal campo di coerenza analitico come se provenisse da un altro luogo, e così è poi nei fatti considerando che salendo dall’inconscio passa solo a vestirsi di accessori dalla razionalità. Se ripetuta subisce trasformazioni trascurabili se non nulle.
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Connotazione numerica. Si fa riferimento ad una qualità mutuabile dal mondo dei numeri razionali ed in particolare dai numeri primi. Con quest’ultimi condividono la non scomponibilità: possono essere divisi solo per se stessi. In psicoanalisi si traduce nella loro iniziale non riconducibilità da altre vie ai loro significati. La loro comprensione passa solo nella loro somma narrativa: si creano “Costruzioni pari”, quindi divisibili, che quando interpretate rappresentano sovente passaggi fondamentali e trasformativi.
Non sarà agevole ma tenterò nel prosieguo del racconto della terapia di esplicitare chiaramente quanto espresso teoricamente.
CONTINUA…