08) Autolesionismo

 

PROSEGUE…

08)

La società.

Fin qui tutto combacia: bisogni gruppali, identitari, riti iniziatici, regole condivise… ma l’ombra incomincia a stagliarsi ad una visione meno superficiale. La funzionalità di queste manifestazioni rimane simile e anche la prima finalità, ovvero la difesa sociale. Ma compare una seconda finalità identificabile da questo scontato interrogativo: difesa da chi? Dalla società in essere. Le società in essere a loro volta rigettano tali manifestazioni gruppali. Le più evolute hanno sperimentato un sistema per difendersi da chi non aderisce alle leggi che le regolano che fa da contraltare all’ipotetica libertà di scelta che offre: l’emarginazione, apparentemente meno aggressivo rispetto ad una ipotetica azione repressiva, ha il suo motivo d’essere nel ruolo accentratore di individui fuori media che tali gruppi esercitano rendendoli immediatamente riconoscibili, quindi di fatto controllabili e quindi di fatto innoqui. Emanazione sociale di un thanatos raffinato nel tempo che nell’individuale si esprime nell’indifferenza, alienazione. Mancano dei passaggi: proverò a sondarli.

Immaginiamo una società dove le leggi condivise X che hanno portato al suo consolidarsi siano tacite e i depositari di queste avulsi dal territorio. Vengono impartite dall’alto, da un Altro Super – Egoico. Mancando una funzione contenitrice, sia a livello sociale che familiare, alcuni soggetti reagiranno a tali dettami tirandosi fuori e divenendo di fatto cani sciolti (risposta reattiva). Manca però all’effetto pratico un capobranco psichico. Si riuniscono quindi in agglomerati di soggetti dove le uniche collusioni possibili sono tra i frammenti della loro identità disintegrate (Dato determinante: altrimenti sarebbe stato più utile inserire la Yakuza tra le manifestazioni adolescenziali…).

E se di collusione patologica trattasi allora della coazione a ripetere ci si dovrà occupare. Il soggetto all’interno di tali gruppi usufruisce di alcuni vantaggi (protezione, condivisione, comprensione) e nello stesso tempo deve sostenere il perverso meccanismo. Come? Fornendo il proprio dolore come carburante emotivo per una sorta di cannibalismo emozionale. Si innesca così una fallace percezione della reale circolarità delle emozioni: non si accolgono, vengono esplose all’esterno dove trovano rumorosi spazi siderali invece di comprensivi silenzi. Il luogo scelto permette di esibire la maschera socialmente disfunzionale alla quale il soggetto però tanto deve nella sua funzione protettrice. Si può essere quello che non si è. Si esibirà la maschera protettiva dei fantasmi infantili ipercompensati. Le manifestazioni sono approvabili tanto più lontane e compensative della ferita originale fino a diventare in alcuni casi parossistiche. Essendo una comune senza una finalità di formazione identitaria (se non di tipo fallica – dimostrativa) ognuno dovrà fornire il proprio dolore con l’illusione che verrà capito, senza però possibilità di integrazione: ma non ci sarà restituzione, solo ulteriore frammentazione. Sarà possibile paradossalmente essere quello che si è. Non comprendendo che, in realtà, in quel luogo sarà possibile essere solo quello che, in manifestazioni portate al limite, si vorrebbe essere. Per compensare il vuoto interiore, la mancanza di pensiero, l’incapacità di integrazione. Quindi in totale assenza di un fallo interiore ed in presenza di uno ipertrofico sociale. Si agirà all’insegna del principio del piacere, in assenza di finalità secondarie tese ad una consapevolezza di qualsiasi tipo o di un oggetto intrapsichico adulto: il principio di realtà non è presente.

Un esempio utile a comprendere l’assenza di costruttività di tali relazioni ci sarà dato dalla pratica dei tatuaggi.

CONTINUA…

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