PROSEGUE…
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Yakuza.
In Giappone detta anche Gokudō, tradotta e conosciuta in occidente con un generico “Mafia Giapponese”, è una serie di bande (Kumi) organizzate, chiaramente dedicate ad attività illecite. È regolata da principi gerarchici e di onore molto rigidi come garanti di un ordine desiderato condiviso. È uso tra gli affiliati definirla “Ninkyō dantai” accostabile ad un significato simile a “onorata società” e gli affiliati hanno un codice cominicativo gergale ed estetico distinguibile e distintivo. Anche loro hanno tra i vari diritti – doveri interessanti particolarità sulle quali soffermarci. Tra i doveri, nel rito di iniziazione giurano di non contravvenire mai a questi punti:
1. Non avere contatti con le moglie di un altro componente.
2. Astenersi da attività diverse da quelle normalmente ordinate anche sotto la spinta della povertà.
3. Non tradire mai i segreti dell’organizzazione.
4. dare lealtà assoluta al proprio capo.
5. Usare solo il linguaggio gergale, quello speciale del proprio Kumi.
Tra i diritti è possibile tatuarsi il corpo tramite la vecchia tecnica giapponese: si penetra la pelle ripetutamente con un chiodo sottile colpito con un martelletto che viene immerso appena nell’inchiostro. È una pratica non solo accettata ma distintiva: molto dolorosa porta spesso a giorni di febbre alta per avvelenamento da inchiostro e la morte non è rarissima. A sottolineare la qualità identitaria del gesto bisogna menzionare quanto in Giappone l’esposizione di un certo tipo di tatuaggio sia inequivocabilemte indicativo dell’appartenenza alla malavita organizzata e quindi formalmente una divisa: ad esempio si è interdetti ai luoghi pubblici dove si deve far mostra del proprio corpo, come le piscine ad esempio, se tatuati. Come proverò a dimostrare successivamente anche in questo caso il tatuaggio mantiene intatte le sue prerogative. Non saprei se sia azzardato definirlo una manifestazione atemporale e acontestuale. Sospetto abbia caratteristiche “Elementali” pronunciate nel suo significante psichico.
Nel caso di contravvenzione alle rigide regole d’onore imposte, in alternativa alla punizione massima, ovvero l’allontanamento dal proprio Kumi e l’essere banditi da tutti gli altri (hanmon), c’è la possibilità di rimediare tramite un atto volontario: è l’usanza o possibilità per l’affiliato (kobun), di recidersi, davanti al capo offeso (oyabun), una falange del mignolo in segno di scusa e compensazione: pena anche la morte. Il così detto “yubitsume” atto che non permette allo oyabun di rifiutare il perdono. Qui si evidenzia chiaramente la natura del male imposto come collante del costituito tramite la castrazione virile rispetto al capo ordalico ad un livello simbolico non particolarmente derivato. La funzione sociale dei Kumi, radicata nel territorio nipponico dai tempi feudali, è riconosciuta anche dalla fazioni politiche che legittimano apertamente la loro esistenza. Derive partitiche di estrema destra legittimano la loro esistenza in un discorso a noi utile se letto in quest’ottica: le caratteristiche di rigidità e controllabilità dell’organizzazione rendono funzionalmente desiderabile la loro attività sul territorio da un gruppo in un dato momento in quel luogo. Queste condizioni si riflettono in dei comportamente altrettanto prevedibili e quindi anche indirizzabili se non alla necessità emarginabili rendendo la Yakuza socialmente funzionale. Alla fine della seconda guerra mondiale, con il benestare del Comandante supremo delle forze alleate ovvero il generale Douglas MacArthur allora presente sul territorio, la Yakuza ebbe l’incarico di mantenere l’ordine pubblico (!) in cambio di appalti nel mondo dell’edilizia fino ad infiltrarsi sempre più compiutamente nel tessuto politico giapponese fino ad arrivare a fornire le scorte personali di importanti uomini politici. Nonostante la matrice fortemente delinquenziale dell’organizzazione ancora oggi molti giapponesi vedono nella Yakuza un gruppo nel quale identificarsi perchè protettori dei più deboli sui quali fare affidamento nonostante le leggi di sensibilizzazione del governo e le leggi antimafia varate (anche se solo nel 1992). La loro desiderabilià sociale si manifesta nella possibilità degli affiliati di girare impunemente ed avere dei ritrovi, lussuosi, dove campeggia in bella vista il logo del loro Kumi. Le derive patologiche presenti compentrano i meccanismi funzionali alla loro socialità. Come ultimo curioso dato vorrei sottilenare la natura adolescenziale di questo gruppo analizzando l’eziologia del nome Yakuza: la derivazione da tre numeri, 8 – 3 – 9 da cui in giapponese Hachi, Kyuu e San e quindi Ya – Ku – Sa, rappresentanti il punteggio più basso del gioco di carte nipponico l’Oicho-Kabu ci suggerisce da un lato quale sia stato il primo campo di affari dll’organizzazione ma dall’altro il suo spirito fanciullesco (il gioco) e la sua percezione di inadeguatezza rappresentata dal punteggio più basso punto dal quale affermarmarsi in modo compensatorio.
Adesso sonderemo un’altro tipo di condotta per provare a osservare come si possano avere due fini opposti nello stesso comportamento: l’uso di sostanze.
CONTINUA…