01) Storia Della Signorina F.

La signorina F.

Primo giorno. E gli altri.

Passeggiavamo tra i vari reparti della casa di cura. Un giro esplorativo. Il dottore  mi consigliò di prestare attenzione. Si avvicinò una donna dal viso curato, notevolmente, fuorviante dell’età anagrafica. Stavo per conoscere la signorina F. La introdusse come una paziente “straordinaria”. Ci raggiunse mostrando soddisfazione. Passo rapido, viso a terra, determinata. L’esposizione datagli dal breve tragitto le era pesata.

F.: “Buongiorno padre sano.” disse riferendosi al Dr. e tentando un rispettoso abbraccio.

Il Dr.: “Buongiorno F., come va oggi?” schivandolo in modo altrettanto garbato.

Da quell’istante i saluti, i colloqui o le chiacchierate con F. si trasformarono in un esercizio linguistico coatto e psichicamente invasivo. Era composto di libere associazioni, rime, citazioni, frasi fatte, vezzeggiativi e motti di spirito in generale che doveva essere interrotto da terzi. Il Dr. mi chiese cosa ne pensassi. La prima sensazione indefinita, disorientante. Mi aveva confuso. Avevo posto molta attenzione alle sue parole e paradossalmente si era rivelata una strategia poco redditizia. Pensai che dovessi allentare la presa. E di dovermi difendere maggiormente per districare le trame tessute dalle molte parole. Filtrarle e aspettare di valutarne la posa.

Doveva nel suo presente psichico parlare. Doveva liberarsi. Una prolungata esplosione anale. È stitica. È ossessiva. È una catena di esplosioni. Un flusso di coscienza continuo. Quasi continuo. Tra la moltitudine di parole, concetti e collegamenti che produceva, fatta concentrare su uno di questi, ad hoc, su dei nodi, s’interrompeva il flusso. Riprendeva fiato e continuava con un tipico “…e allora…”. Una corda era stata toccata. A volte cambiava timbro: “Somatizzo sulla voce, le corde vocali sa, fratello sano, e sull’intestino…sa…sono stitica”. Ossessiva e ossessionata dalla pulizia. Tendeva a sottolinearlo sempre d’altronde, era diventato un vanto. Ormai scudo del nucleo patologico e niente più. Da difesa svolta e organizzata per anni senza consapevolezza adesso era utilizzata come uno strumento utile a non crollare. La sbandierava la sua ossessione. Tentava di distrarre l’attenzione dalla sua ferita. Teneva tutto un po’ più vicino l’ordine e la pulizia, conteneva la disintegrazione. E quel poco che ancora riusciva a creare lo teneva dentro di se.

F.: ”Nel mio armadio metto delle piccole borsette contenenti profumo alla fragola. Sa, si tratta di avere rispetto per se stessi, contro una sensazione di ‘barbonaggio’”. La paura della deriva è riscontrabile significativamente nelle ossessioni e fobie legate all’igiene. Ed era una prima strategia. Come seconda si avvaleva di un’acuta razionalizzazione: nei momenti più profondi dei colloqui incominciava a citare espressioni tecniche analitiche o psichiatriche donategli incautamente in tutti questi anni di peregrinare tra strutture di varia accoglienza.

Io: “F. che ne pensa se non usassimo più tutti questi tecnicismi?” suggerii.

E lei: ”…finalmente…”.

Io: ”Proviamo a parlare…”.

E lei: ”Con il cuore…”.

Ma non poteva.

L’istantanea con autoscatto della sua organizzazione mentale raccontava di un camino acceso dove venivano all’occorrenza bruciate le parole. Nella stessa stanza si trovavano i pensieri che vagavano liberi. Ora, se i pensieri rimanevano nell’etere erano salvi, ma non si potevano dire. Nel momento in cui diventavano parole dovevano essere bruciate e non si potevano più utilizzare. Se si resisteva a questo meccanismo tentando di ascoltare e poi esprimere verbalmente il pensato che vagava libero, arrivavano delle stilettate sulle ginocchia da una persona non bene definita.

L’idea trasmessami da questa scena era di un pensiero simbolico, troppo doloroso da vedere ed essere provato emozionalmente, quindi da poter codificare in parole. La comprensione doveva essere contenuta, ma la strategia era distruttiva. La sensazione era di un forte dispendio libidico. Da lì la caratteristica tenerezza di usare frequentemente diminutivi: la tendenza sadica era frenata nel bruciare il pensiero, poi parola, vissuto come e nella sua componente aggressiva. Il potenziale di angoscia era doloroso in modo direttamente proporzionale alla sua consapevolezza. Tutto sommato era meglio bruciare il desiderio del nucleo patologico, essere stanchi, che essere colpiti.

Tra un discorso apparentemente di poca importanza e un altro:

F.: “Io mi sento femminuccia e ne è l’unico segno evidente solo quando ho le mestruazioni. Ed è anche l’unico momento nel quale mi sento pulita”. Si sentiva pulita nella limitazione “impostagli” ma quanto mai gradita proporzionalmente al desiderio. Limitazioni pratiche, ormonali nella diminuzione del desiderio. E nell’uso di un tabù. Il tabù del rapporto sessuale con sconosciuti durante il mestruo è qui usato per annullarne il desiderio.

F.: “Mi piace molto Michael Jackson. Sa, non è pedofilo, e lo hanno ucciso. X alla struttura Y mi ha detto che mi piace solo perché ha un “pene” (più prosaicamente nella realtà) gigante”.

Io: “Non merita neanche replica una tale insinuazione verso di lei, persona così di cultura e livello…”. Sentii il bisogno di doverla ripulire ulteriormente. Avevo perso il controllo e tentavo di ripristinarlo in lei rinforzandola razionalmente. Non avrei dovuto ma a conti fatti fu più utile coprire un po’ più che continuare a svelare. E poi mi ero ripulito anche’io.

F. sorrise, mi guardò riconoscente della mia galanteria e riservatezza. Non adesso, se ne parlerà magari un’altra volta. Sapevamo che non era così. Sarebbero bastati pochi incontri a oltrepassare questo limite.

Mi confidò di ritenersi irrecuperabile. Gli risposi affermando fermamente la mia convinzione che si trovasse sulla strada giusta, comunque. Mi sentii autorizzato a un’affermazione di questo genere confortato dalla sua storia clinica recente. Ma era davvero migliorata? Il setting, o meglio la sua peculiare impalpabilità, mi permetteva paradossalmente di abbassare la guardia. Non ero sicuro affatto di quello che avevo previsto, ma ne ero sicuro in altro modo: il potenziale umano era ricco. Per ultimo, ma non per importanza, le comunicai la mia fiducia perché faceva bene a entrambi. Alla sua vita tanto vituperata. Alla mia inesperta compassione. E in fondo costava poco rispetto al rendimento. Ne ero sicuro e glielo comunicai.

Continua…

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